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10 febbraio delle Foibe |
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Comunicazione di servizio |
Ora i commenti sono tornati agibili e funzionanti. Scusate il disagio.
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Love is the answer |
Premetto che non diro', come certi tipi Fini han fatto:" Invidio chi sul caso Englaro possieda certezze qualunque esse siano", lo trovo un modo paraculo di dire "beati voi che non capite un caxxo".
Premetto ancora che trovo choccante la diffusa, rassegnata indifferenza fatalista nei confronti degli incidenti stradali (Eluana ne fu vittima a vent'anni), causa numero uno di morte e invalidita' tra i giovani, molti piu' dei caduti americani in Iraq o dei morti palestinesi a Gaza, ripetuti ogni singolo anno che Dio mette in terra.
Cio' detto lasciamo pur stare questioni a mio avviso irriducibili su cosa sia l'accanimento terapeutico: solo quando c'e' farmaco o anche l'alimentazione forzata? Tralasciamo anche il fatto che indurre un'agonia di una decina di giorni per fame e disidratazione non sia sicuramente un dettaglio, ma usarlo come argomento nel caso in questione puo’ far pensare alla forzatura strumentale.
Credo piuttosto che ridurre i problemi posto dal caso di Eluana a uno scontro tra diritti individuali e costrizioni fondamentaliste (chiamando lo Stato a "liberarci"!) sia una fuga dalla realta’.
Si da’ per scontato un ipotetico quarto Diritto dell'Uomo oltre a quelli alla vita alla liberta' e alla ricerca della felicita' - quello alla dignita' in morte, altrimenti detto da chi non teme l’ossimoro, diritto alla “dolce morte”.
Cuccu', sveglia: la sofferenza abbruttisce e rende dipendenti sempre, la morte oltre che dolorosa e' sempre priva di dignita' oltre che di estetica: tipicamente nel trapasso ci si caga addosso e non in senso figurato!
Non per caso ce’ voluto nientepopodimeno che un Figlio di Dio sceso dai Cieli per offrire finalmente un senso e una dignita' alla sofferenza e alla morte a chi li vuol leggere.
Una volta deposta la foglia di fico assolutamente kitsch della “dolce morte” rimane la verita' cruda, del tutto umana e comprensibile della paura del salto nel “nulla”.
Rifletto che credere di rimuoverla eliminandoci “prima che Lei arrivi da sola”, non renda poi cosi' diversi dai tanto disprezzati "credenti" col loro concetto di vita dopo la morte. Si tratta in fondo di risposte analoghe, di tentativi di fuga dalle Forche Caudine che tutti dovremo attraversare prima o poi. E’ il bambino che crede di nascondersi perche’ si tappa gli occhi.
Nulla di male beninteso a credere in qualcosa, se questo aiuta a farsi una ragione dell’inevitabile; il fatto nudo e crudo a me sembra che rimanendo sul piano meramente materiale non si possa soffrire e morire conservando la nostra “umanita’”: diceva un saggio pre-socratico , quando c’e’ Lei non ci sei tu e quando ci sei tu non c’e’ Lei.
La personale lezione “pratica” che traggo dal caso Eluana e' un’altra: se mai verra' il mio turno e tocchi a qualcuno decidere della mia vita e del suo epifenomeno morte, desidero assolutamento che costui non sia ne' Stato ne' Chiesa ne' tantomeno un minus quam merdam qualsiasi con laurea in medicina; esigo che a decidere per me sia esclusivamente qualcuno che mi voglia veramente un mondo di bene. Come nel caso di Eluana, non come mi pare capito’ a Terry Schiavo.
Anche perche’ si tratta di decisioni da prendere AL POSTO dell’individuo non IN NOME dello stesso: personalmente trovo lievemente ridicola l'idea del testamento biologico, cioe’ andar da un bio-notaro e metter per bio-iscritto (con una bio-scadenza come lo yogurt) cosa dovrebbe bio-farmi qualche bio-esecutore in situazioni di cui nessuno sa un bel bio-nulla. So’ cose figlie di questi tempi ricolmi di balle sc-sc-scientifiche destinate a rimpiazzarne altre considerate “scadute” dalla sensibilita’ GrandeFratellesca corrente, ma a quelle del tutto assimilabili.
Tornando al caso Englaro, il fatto che mi impressiona non sono i diciotto anni di “vita” vegetativa in cui la sorte ha rinchiuso la ragazza, sono piuttosto gli anni passati dal padre a sperare che Eluana si risvegliasse. Trecentosessantacinque piu' bisesti moltiplicato per diciotto: il conto delle albe di amore e dei tramonti nel dolore e viceversa. Tutto quel tempo speso al capezzale della figlia schiaccia e rende irrilevante a mio avviso l’umana decisione finale di "mollare", alla faccia dei tifosi che tirano il caso per la giacchetta nell’uno o nell’altro senso, fregandosene del dramma umano. A un papa' cosi’ c'e' solo da dir GRAZIE.
Questa e' una storia di amore, sofferenza, di disperata forza e non di rassegnazione, quindi profondamente cristiana; come si fa a biasimare anche dal punto di vista confessionale un padre che ha trattenuto la mano della figlia sospesa nel baratro per diciotto anni prima di mollarla sfinito? Dopo di che si dovrebbe tacere tutti, nel rispetto e nella profonda com-passione per il dolore.
Perche’ qui non ha vinto nessuno, o come diceva Jim Morrison, nessuno di noi uscira’ vivo di qui.
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Gilbert Chesterton (1874-1936) |
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